Tag
#45giri, #anni60, #anni70, #chiavediSol, #chiavediviolino, #DanAykroyd, #educazionemusicale, #JohnBelushi, #JohnLennon, #LittleTony, #musicasacra, #theBluesBrothers, #UfoRobot Goldrake, anime giapponesi, Claudio Villa, Cuore matto, Dan Aykroyd, dischi in vinile, Domenico Modugno, educazione musicale, giradischi e mangiadischi, Grendizer, il primo accordo, in missione per conto di Dio, John Belushi, John Lennon, Little Tony, musica italiana anni 60, musica italiana anni 70, musica sacra, Riderà, The Blues Brothers, Tony Renis, vinili 45 giri

Signature © maurimarino 2011, per gentile concessione. https://www.flickr.com/photos/maurimarino/
10/09/2007
C’era un ragazzino che sognava di diventare chitarrista. Venne il suo compleanno e come regalo chiese, ovviamente, una chitarra. Era molto bella. Piena di corde, però. Provò timidamente a toccarle e ne fu respinto. Allora le accarezzò: emisero un gorgoglio ottuso; niente a che spartire col mondo di suoni che lui si sentiva dentro. “Andrò da un insegnante di musica”, disse. Aveva saputo da qualche parte che quando un sogno ti resta incollato addosso significa che non è più un’illusione, ma un segnale che ti sta indicando la tua missione nella vita. Cucinare. Fare calcoli. Riparare orologi. Ciascuna di noi ha la sua e l’errore è credere che una sia più importante dell’altra, solo perché non tutte procurano fama e denaro.
Il ragazzino era sicuro che la sua missione fosse tirare fuori dalla pancia quei suoni. Così andò a lezione. Non capì niente. Ci ritornò e fu peggio.
“Mi arrendo, il sogno era falso: io non ho talento per la musica”. Se non s’imbottì di prozac, è solo perché non esisteva ancora. Nascose la chitarra in un baule e accese la radio. Lo invase un suono semplice, nuovo: pochi accordi ritmati. Alla radio lo chiamavano skiffle, ma era già il rock. Riaprì il baule e provò il primo accordo. Allora capì che per sapere se un sogno era giusto occorreva prima rinnegarlo, affinché la vita te lo restituisse per sempre con una rivelazione improvvisa. Raccontò la sua scoperta a un amico, che ieri in un’intervista l’ha raccontata al mondo.
Ah, quel ragazzo si chiamava John Lennon.Massimo Gramellini, Il primo accordo
Da che ne ho memoria, la musica ha sempre fatto parte della mia vita.
Non ho un ricordo preciso del momento in cui mi ci accostai, la sola cosa di cui sono certo è che ero molto piccolo. I miei genitori avevano una piccola raccolta di vinili 45 giri con un repertorio di musica leggera degli anni ’60 e ’70, rigorosamente italiana, e una vecchia radio con sopra un giradischi.
Più o meno come questa.
Nelle mie mattine pre-scolari passavo ore a far suonare quei dischi, uno dopo l’altro. I pomeriggi meno, perché al pomeriggio scattava l’ora del sonnellino, e al risveglio iniziavano i programmi tv per i più piccoli. Erano i primi anni ’70, l’epoca in cui i televisori non avevano bisogno di telecomando, ma solo di tre tasti per selezionare i canali. Che erano giusto tre: il Primo e il Secondo Canale (futuri Rai 1 e Rai 2) e la RSI Svizzera Italiana.
In quel tempo antico, sospeso e sempre uguale, scoprii e ascoltai a ripetizione i successi di Claudio Villa, Domenico Modugno, Tony Renis e molti altri.
Last but not least, Little Tony, con due suoi evergreen, Cuore Matto e Riderà, che per me sono diventati una sorta di tesoro nazionale.
E nonostante fossi così piccolo, riuscivo ad avere una tale cura di quei dischi, sia nel tirarli fuori dalle custodie, che nel riporli dopo averli fatti suonare – per non dire dell’attenzione nell’appoggiarvi sopra la puntina del giradischi, senza farla slittare attraverso i solchi – da non averne mai rotto nemmeno uno. Li ho mantenuti in così buone condizioni che gran parte di essi (quelli a cui sono rimasto più affezionato, che conservo tuttora) suonano in maniera dignitosa ancora oggi, a distanza di quarant’anni.
Era anche l’epoca dei Pink Floyd e degli Eagles, che non facevano parte dei gusti musicali dei miei, non potevano essere più lontani. E tuttavia – da che li ho scoperti, molti anni dopo – mi lasciano ogni volta un senso di struggente nostalgia, l’eco a un tempo dolce e malinconico di un retaggio antico, come di qualcosa di non vissuto, ma soltanto sognato. Di un mondo che è andato avanti mentre io non prestavo attenzione.
E’ probabile che già in quei miei primi anni, attraverso radio e tv, frammenti di quel mondo fantastico in una lingua sconosciuta mi giungessero all’orecchio. In qualche modo, quelle melodie erano nell’aria.
E iniziavano a costruire nel mio substrato emotivo un immaginario molto più ampio di quanto potessi cogliere con chiarezza.
Sarà stato per tutta la musica che ascoltavo, di certo a quell’età avevo già un buon orecchio. Avevo imparato a fischiettare, e per lo stupore dei miei genitori e dei vicini di casa a 4 anni eseguivo con precisione il tema di Gamma, uno sceneggiato Rai del ’75 in cui si ipotizza un trapianto di cervello. Senza averlo mai riascoltato da allora, lo rammento ancora alla perfezione.
Le musiche erano del maestro Enrico Simonetti, il papà di quel Claudio che nello stesso anno compose il tema di Profondo Rosso.
Un paio d’anni dopo, alle elementari, partecipavo alle mie prime lezioni di educazione musicale, un’ora a settimana in cui si cantavano canzoncine stile Zecchino d’Oro. Ma nel frattempo il mio immaginario si era arricchito ancora, e stavolta ne coglievo il fiorire con grande chiarezza. Sugli schermi Rai era sbarcato Goldrake, rompendo l’argine televisivo in favore degli anime giapponesi e dei loro enormi robot guerrieri. Un fenomeno amplificato dal diffondersi delle tv commerciali nazionali e locali, ciascuna delle quali, anche la più piccola, offriva nel palinsesto la sua bella infornata di robottoni, in prima visione o in replica.
Gli anni fra il 1979 e il 1981 furono incredibili: ogni pomeriggio, fino alle 8 di sera, su qualunque canale c’erano cartoni animati giapponesi. E insieme alle loro fantastiche avventure, di cui non cessavo di saziarmi, le splendide sigle realizzate per la distribuzione italiana. Uno alla volta mi feci comprare i 45 giri delle serie principali, ascoltandoli per ore grazie a un mangiadischi regalatomi da mia nonna. (La vecchia radio con giradischi nel frattempo era passata a miglior vita; si era guastata, e non solo i miei non la fecero riparare, ma mi diedero anche il permesso di smontarla, cosa di cui ora ovviamente mi dolgo).
E non appena il tempo lo permetteva, scendevo in cortile, inforcavo la bicicletta e pedalavo cantando a squarciagola tutto il mio repertorio robotico. Conservo ancora oggi la mia personale raccolta di sigle tv in vinile, insieme a ciò che resta di quella nazional-popolare dei miei genitori. Eccone una parte.
Arrivò il tempo delle medie, le ore settimanali di educazione musicale aumentarono, e sotto la guida di Katherine imparai anche a suonare uno strumento, con mio grande diletto. Dapprima il flauto dolce, per passare ben presto alla clavietta, detta anche diamonica o melodica. Uno strumento didattico a fiato dotato di una piccola tastiera, simile a quella di un pianoforte. O di un organo.
Gran bella cosa, una tastiera. Cosa buona e iusta 🙂
Ed eccola qui.
Quella qui sopra non è una foto presa da internet, è proprio il mio buon vecchio strumento. Col quale suonavo roba mica da ridere. Ho ritrovato in un cassetto i quaderni di musica di quegli anni: solo nelle prime tre pagine, osserviamo l’inizio della Primavera di Vivaldi, il Can Can di Offenbach, l’Aria sulla Quarta Corda di Bach… Partiture semplificate a una sola nota per volta, d’accordo, ma pur sempre musica di alto livello.
Mia madre, che si dilettava a sua volta ad ascoltarmi ed era molto contenta di quel mio particolare interesse, mi portò da un maestro di musica perché potessi approfondirne lo studio. Ma dopo due anni di corsi privati di solfeggio senza suonare una sola nota, noiosissimi ma a cui mi sottoponevo con dedizione per non dispiacere a mia madre, seguiti (vivaddio) da uno di pratica organistica con uno studente di conservatorio, decisi di smettere con quell’impegno che non mi portava da nessuna parte, e perdipiù si sovrapponeva a quello scolastico di prima superiore.
Nel frattempo, mi ero fatto comprare una pianola elettronica e mi divertivo a strimpellare I like Chopin di Gazebo, sognando di diventare il tastierista di una rock band. Invece, sempre per interessamento di mia madre, lo sbocco dei miei studi musicali fu il sedile di un armonium in una chiesa di frazione prossima a casa mia, dove sotto la sguardo bonario ma severo dell’anziano sacerdote iniziai ad accompagnare i canti, durante la messa, a ogni festa comandata.
Dunque ci fu un tempo in cui, anche per me, la musica divenne una missione. Per giunta, una missione per conto di Dio.
Sia detto con le debite proporzioni, e il dovuto rispetto, nei confronti di John Lennon, John Belushi (pace all’anima loro) e Dan Aykroyd 🙂
Questa parte della storia, però, ve la racconto un’altra volta.
Per oggi può bastare così.
Stay tuned!
L’ha ribloggato su Julian Vlade ha commentato:
I miei #anni70 a #45giri da #LittleTony alla #musicasacra passando per #UfoRobot Goldrake. Ovvero, come sognando di diventare un tastierista rock sono finito in missione per conto di Dio 😉
"Mi piace""Mi piace"
Santo Cielo! Ed io che avevo sempre pensato che tu avessi preso lezioni ben prima di aver incontrato me! Era successo con altri due miei allievi, che avevano imparato a suonare il piano solo “guardandomi”! E, anche nel loro caso, avevo pensato che sapessero già suonare ben prima di aver iniziato le medie con me. Non a caso però, siete stati tre allievi eccezionali, che rimarranno a segno imperituro nella mia memoria. Nemmeno loro sono diventati musicisti, anche se continuano a suonare ancora oggi che sono sono diventati, rispettivamente, medico e sacerdote.
Le canzoni e gli interpreti da te menzionati rimarranno per sempre nella storia. Oggi, purtroppo, mi sembra proprio che non esistano più canzoni o interpreti che possano diventare evergreen, forse perchè il livello tecnico si è talmente alzato da non poter più essere canticchiato dai comuni mortali come succedeva per “cuore matto” o le canzoni dei cartoni e così, probabilmente, saranno destinati a scomparire dalla memoria.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ti ringrazio, troppo buona 🙂
Non ho mai pensato di essere eccezionale in qualcosa, anche perché me la cavavo bene un po’ in tutto e non sarà un caso che sia poi andato a scegliere l’unico ramo che nessuno di voi professori mi avesse consigliato. Ma alla fine la ruota gira e ritorna al momento di fare nuove scelte, e restituire casomai dignità a talenti trascurati.
Concordo sul tuo giudizio generale, il livello tecnico musicale si è raffinato a fronte di testi che si sono invece (a parer mio) appiattiti. Una cosa è essere banali, altra è essere semplici ma efficaci. Arrivare alle orecchie e al cuore, per intenderci.
Ogni generazione ha i suoi miti, ma in questo momento fatico a trovare qualcosa di indimenticabile; guardo all’estero, come ho fatto spesso, e al passato, come farò sempre 🙂
Un abbraccio
"Mi piace""Mi piace"
La musica è parte importante della mia vita
Mia madre era una divoratrice di note e devo a lei, soprattutto, la mia passione per la musica
In paticolare gli anni 70/90
Come te, conservo, oltre un giradischi (Radiomarelli) 372 dischi tra 45 e Lp Nella
Nella nostra casa c’è sempre qualcuno/a che suona o suonava la chitarra da mia madre , mia sorella, fratello e me
Buongiorno, caro Dario
Ti lascio un caro abbraccio
Mistral
"Mi piace"Piace a 1 persona
372 dischi?? Mamma mia, questo sì che vuol dire essere appassionati di musica! 😀
Dunque scopro che, oltre ad avere ottimi gusti musicali, anche tu sai suonare uno strumento… mi fa molto piacere! Che bella questa atmosfera familiare in cui la musica fa così parte del quotidiano.
Buongiorno a te, cara Mistral.
Un bacione
Dario
"Mi piace""Mi piace"