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(segue dalla prima parte)
C’è un dato che fa riflettere, nelle scorse settimane è stato riportato in qualche articolo, e mi è capitato di parlarne con degli amici. Per essere sicuro di fornire dei numeri corretti, sono andato a cercarmi una fonte ufficiale.
Dunque, negli ultimi due mesi, per mano di terroristi islamici o presunti tali, fra Europa, Africa e Medio Oriente hanno perso la vita circa 400 persone.
Che è un numero terribile, già una sola vita spezzata lo sarebbe, per una cosa che non dovrebbe esistere. E senza considerare il numero dei feriti, che non mi è noto.
Ebbene, nel 2014, cioè nel più recente anno che è possibile prendere in considerazione nella propria interezza, in Italia 3.381 persone sono decedute a causa di incidenti stradali (fonte: archivio Istat) e oltre 251.000 sono rimaste ferite. Non so se è chiaro questo numero: un quarto di milione di persone, ferite in (o a causa di) incidenti stradali, solo in Italia, appena l’anno scorso. Oltre otto volte l’intera popolazione della città in cui abito.
Nello stesso periodo, in tutta l’Unione Europea, i decessi per la medesima causa sono stati circa 26.000, pressapoco pari al 2013.
Altro che Isis, con questi numeri dovremmo aver paura di come (noi e gli altri) sappiamo guidare! Eppure, non mi pare che qualcuno si sia posto il timore di salire in auto e mettersi al volante, o di farsi portare da qualche parte su quattro ruote. Gesti che compiamo tutti i giorni, per pochi chilometri come per lunghi viaggi, senza che nemmeno ci sfiori l’idea che potrebbe essere l’ultima cosa che facciamo.
Per questo ho voluto aprire con il celebre motto di The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy, opera che nei miei scritti sta diventando ricorrente, perché fosse chiaro fin dall’inizio che il mio voleva essere un intervento ironico.
E sapete quale trovo sia un altro dato inquietante? Che la petizione di cui sopra, indirizzata nientemeno che al Papa e al Presidente del Consiglio, ad oggi risulta firmata da 590 persone. E questa, sì, è una cosa che credo debba mettere paura 🙂
Quanto al Giubileo, esistono parecchi motivi per chiederne non solo il rinvio ma l’annullamento tout court, sia in termini di utilità (cui prodest?) che di costi per la collettività e di impatto sui trasporti e sulla vita quotidiana di una grande città come Roma; che già solo le immagini di via dei Fori Imperiali con i sanpietrini coperti di asfalto, fatte circolare in questi giorni sui social network, fra gli altri, da Alessandro Gassmann, mettono una tristezza infinita.
(In verità, come si legge qui, pare fosse una cosa da tempo preventivata e non c’entri nulla con il Giubileo, anche se la coincidenza desta ovvi sospetti). Ma fra questi motivi, il rischio di elevare la probabilità di attentati, di matrice islamica o di altra natura, non è più alto che in qualsiasi normale occasione o evento pubblico.
E indovinate un po’ dove sarò io proprio questo fine settimana? 🙂
Sono più di due anni che non metto piede sul sacro suolo, non sarà qualche assurda paura di attentati a farmi desistere dal godermi un’occasione che ho programmato ormai da un paio di mesi.
Io non ho paura, perché non ce n’è alcun reale motivo.
Non c’è alcun motivo perché la nostra esistenza quotidiana non possa continuare come ha fatto finora, magari senza troppa consapevolezza dei reali rischi che corriamo ogni giorno per il semplice fatto di salire o scendere le scale di casa (e meno male, perché se ci pensassimo tutto il tempo impazziremmo), ma anche senza troppi patemi latenti.
Personalmente, ho vissuto paure molto più tangibili, assai più quotidiane, per svariati periodi della mia vita, e perciò credetemi, non ci tengo a lasciarmi condizionare da simili derive di isteria collettiva. Non perché sia o mi senta troppo spavaldo, ma perché la minaccia costituita dall’Isis, qui da noi, statisticamente è di gran lunga meno rilevante del rischio di schiantarsi in auto contro un palo (e io mi muoverò in treno, per cui almeno sotto quel profilo sto più sicuro).
Se poi, fra qualche giorno, quando sarò allo stadio a tifare Roma, mi capiterà di incontrare il mio destino nei panni di un fanatico sfigato come quello di cui si è parlato prima, armato fino ai denti e carico di esplosivi, che posso dire: non ho mai preteso di vivere per sempre. E se proprio deve succedere, almeno succederà in luoghi e in un contesto che amo.
17/08/2014
Il movimento è vita.
Pingback: #FioreGiallo n° 24 (o della vita che continua, 1/2) | Nove fiori gialli
L’ha ribloggato su Julian Vlade ha commentato:
Il movimento è vita (op. cit.)
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Naturalmente permettimi non sono assolutamente d’accordo sull’impianto della tua argomentazione nel senso che paragonare il numero decisamente alto di morti accidentali. ( esiste in ogni caso una legiferazione in proposito) che fanno parte comunque del quotidiano vivere lo si voglia o no e dunque metterli in parallelo con quello che appare a noi un miserrimo numero di morti di morte cruenta causata da guerre più o meno giuste più o meno sante lo trovo storicamente sbagliato.
Avrei immaginato che tu ti riferissi ai morti a migliaia che non hanno la fortuna di essere francesi inglesi americani spagnoli e che muoiono saltando per aria per strada nelle loro case nel deserto aldilà del Mediterraneo e che sono tanti ugualmente uccisi dalle milizie dell’Isis, permettimi l’ironia, a km 0.
Vogliamo ricordare la Nigeria ? Credo che lì gli incidenti automobilistici incidano poco rispetto bambini uomini e donne sgozzati venduti ho uccisi senza pietà!
Occhio che non vede cuore che non duole! Questo !
Sherazadegusrdaoltrelapuntadelnaso
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Naturale che ti sia permesso esprimere dissenso rispetto a quanto ho scritto, ci mancherebbe, ma forse non sono stato chiaro nel mettere in relazione i numeri. Ciò che volevo sottolineare è l’assoluta mancanza di logica in certe manifestazioni emotive a seguito di un evento di eccezionale gravità, e tuttavia isolato. Tipo la richiesta di posporre il Giubileo, ma avrei potuto fare altri esempi di ambito più locale… giorni fa un amico che aveva promosso un evento presso la stazione Porta Nuova di Torino ha ringraziato, tramite un post su Facebook, le persone intervenute, e fra i commenti ne ho letto uno di un tale che diceva “mi sarebbe tanto piaciuto esserci, ma ho evitato di venire in stazione per ovvi motivi di attentati terroristici” (scritto proprio in questo modo, tipo il buon vecchio “motivi di famiglia” delle giustifiche a scuola).
Ondate emozionali come questa si osservano quando si verifica un disastro aereo di notevoli proporzioni: per un po’ i media non fanno che riportare notizie di inconvenienti a questo o quel volo cavalcando il sentimento comune del momento, e tutti d’improvviso scoprono la paura di volare. Lungi da me l’idea di voler minimizzare i fatti di Parigi o di considerare miserrimo il numero delle vittime da essi causate, alla pari di fatti analoghi nelle settimane e mesi precedenti che hanno destato meno clamore; non a caso ho sottolineato che anche una sola vita spezzata sarebbe già una cosa terribile. Ma rivendico il buon senso di affermare che farsi limitare negli spostamenti e nella vita quotidiana, così come nelle occasioni pubbliche di ampio respiro, dalla paura di finire vittima di un attentato dell’Isis, qui da noi non in Siria, o in Nigeria, è una cosa del tutto immotivata.
Il paragone con il numero di vittime della strada voleva sottolineare questo, proprio perché si tratta di un numero, e di un’eventualità, che fa parte della nostra realtà di tutti i giorni, negli ambiti a noi più prossimi, e di certo non ci verrebbe mai in mente di non uscire di casa per evitare di trovarsi parte di quel numero. Che nella realtà dei fatti ci riguarda invece molto più da vicino. Non ho espresso né volevo esprimere alcuna considerazione geopolitica, per quanto mi riguarda le migliaia di vittime “non europee” pesano quanto se non più delle altre, proprio perché vivono in luoghi e situazioni fortemente svantaggiate già in partenza.
Ma non riguardano il contesto né il significato del mio post.
Ecco, spero di essermi spiegato meglio 🙂
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ti leggero piu’ tardi …grazie
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Prego, non c’è di che. Una risposta esauriente mi pareva doverosa.
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Oooh yes
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Hey, voi due! Invece di disquisire così lungamente sul blog, perchè non ne parlate di persona, visto che vi troverete entrambi a Roma?
Noi, molto egoisticamente, se vogliamo, siamo andati a sentire il concerto di Madonna, subito dopo i fatti del Bataclan. In effetti ci sono stati controlli accurati, ma nulla più. Impedirsi di vivere, per paura che succeda qualcosa di brutto, non è una soluzione. Certo è che bisognerà evitare certi Paesi a rischio.
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Ahh, Madonna! Mi ricordo ancora il suo primo concerto in Italia, proprio a Torino. L’avevano dato in diretta tv, era il fenomeno mediatico del momento. Credo fosse l’88 o giù di lì. Spero che nel frattempo abbia imparato a dialogare col pubblico con qualcosa più di “siete pronti? Siete caldi? Bene, ànch’io!” 🙂
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Siamo sempre in pericolo di morire una volta nati
Il destino è sempre in agguato e non c’ è nulla che possiamo fare per intralciare i suoi piani nefasti.
Io sono fatalista ma un pizzico di buon senso non guasta mai
Anche nel terribile atto terroristico al Bataclan; il destino ha fatto la sua selezione
Vedi la nostra Valeria morta ma il fidanzato che era con lei: vivo
Grazie sempre, caro Dario
Un abbraccio caro
Mistral
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Grazie a te, cara Mistral.
Il buon senso, ahimè, al giorno d’oggi sembra merce sempre più rara. O forse lo è sempre stata, solo che ora la risonanza mediatica dei social network ne amplifica la lacuna.
Non potendo scegliere quando e come morire (in realtà in qualche misura sì, ma consideriamola un’insondabile eccezione alla regola) credo sia importante preoccuparsi di come vivere. E di certo non voglio vivere nella paura. Ho già dato, troppe volte, troppo a lungo.
Un bacione
Dario
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